ORTOPORTO: coltivare la terra per curare se stessi

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ISCRITTO AL N°5 DEL REGISTRO DELLA STAMPA
DEL TRIBUNALE DI LECCE 08/04/2013

Il primo progetto di agricoltura sociale a Lecce. Svegliarsi presto al mattino, dare l’acqua alle piante, raccogliere gli ortaggi, cucinare e pranzare insieme. Sembrano le azioni tipo di un agricoltore ed invece sono quelle della Comunità Residenziale Assistenza Psichiatrica (CRAP) di Villa Libertini, impegnata nel progetto ORTOPORTO.

 

Si tratta della prima iniziativa di Agricoltura Sociale della provincia di Lecce, una straordinaria esperienza portata avanti da persone che hanno creduto nel potenziale terapeutico della natura, come Sergio Longo, ideatore del progetto e responsabile psichiatra della struttura e Chiara Reho, tecnica di riabilitazione psichiatrica. Ortoporto: già dal nome si intuisce la volontà di mescolare l’orto alla città, nella possibilità di aprire, attraverso la cura delle terra, le porte di luogo sinora isolato.

Partito con la raccolta fondi, avviata durante uno Slow Food Day, il progetto ha successivamente avuto il sostegno di altri, come l’Associazione Regionale Masserie Didattiche, l’Azienda Vitivinicola Candido, Condotta Slow Food, FM Salento, Gruppo Scout Agesci 3, il Birrificio B94 e naturalmente la Asl Lecce. “Tutto è iniziato con i Laboratori del Gusto all’interno del CRAP, racconta Alessandro Rizzo di Slow Food, “successivamente con l’aiuto di un agronomo, abbiamo riqualificato l’area verde presente nella struttura con un orto curato dai 14 ospiti”.
“L’idea era quella di rendere i pazienti attivi e partecipi, superando le logiche assistenzialiste e passive” rivela il dott. Longo “così abbiamo deciso di partire dal cibo per stimolare interesse su qualità e provenienza dei prodotti”.
Così concetti universali come il rispetto dell’ambiente e la qualità degli alimenti sono diventati strumento riabilitativo per gli ospiti, che hanno intrapreso percorsi di autonomizzazione attraverso la bonifica, la coltivazione, il compostaggio e la cucina. Attività che hanno influito positivamente sulla vita del centro; “spesso infatti” diagnostica il dott. Longo, “gli esiti concreti della produzione incrementano autostima e rispetto di sé, con ricadute positive nella relazione verso gli altri” e la differenza tra prima e dopo si vede dalla vitalità con la quale gli ospiti agiscono, perché si sentono utili per sé e per gli altri”.
Ora ci si augura di fare il salto di qualità, passando ad una fase più strutturata del progetto, creando ad esempio una cooperativa di tipo B che realizzi la completa autonomia dei pazienti; ma “la carenza di risorse è il problema principale”; sebbene i molteplici benefici che progetti come questo avrebbero su molte situazioni di disagio, non sono ancora contemplati in forme più strutturate. Ora la fase di semina è stata avviata, non resta che augurarsi che il raccolto sia altrettanto buono!

di ILARIA FLORIO

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